Di Clarissa Semini
Angela Notari, attivista della maternità, durante i parti dei suoi bambini si è immersa nel potenziale della nascita e ha lasciato che la permeasse. Una volta riemersa, pronta a condividere con altre persone la preziosità di quanto vissuto, si è resa conto che la maggior parte delle sue amiche e conoscenti erano estranee ai suoi racconti. Queste constatazioni, unite a una serie di riflessioni, l’hanno portata a dar vita, assieme ad altre persone, a un progetto atto inizialmente a raccogliere dati e a portare richieste di cambiamenti e soluzioni concrete all’attenzione delle istituzioni predisposte ad attuarle.
«Ho vissuto entrambi i miei parti in Casa Nascita e Maternità a Lugano, un luogo protetto e sicuro in cui l’esperienza si è potuta svolgere in maniera indisturbata e rispettata. È stato estremamente potenziante per la mia famiglia e mi ha cambiata profondamente. Parlandone, in seguito, mi era sempre più chiaro che in poche conoscevano o prendevano in considerazione questa opzione come luogo per partorire e, ancor meno, sapevano di tutte le scelte che spetta loro fare a riguardo di gravidanza, parto e maternità. Con il mio libro «Quello che ci unisce» ho voluto contribuire a diffondere informazioni. Poi, nel gennaio 2023, la terribile tragedia in cui, in un ospedale di Roma, una neo-madre stremata si addormenta e con il suo corpo soffoca, nel letto con lei, il suo bebè appena nato nonostante le ripetute richieste d’aiuto ignorate e negate. Questo evento ha suscitato un’ondata di indignazione anche qui. Crediamo che la nostra sia una realtà super performante. Siamo d’accordo che da noi le cose vanno sicuramente meglio che in altri posti ma anche il nostro sistema sanitario, nello specifico il settore ostetrico, è toccato da vissuti traumatici ed estremamente difficili. Sui social le donne hanno cominciato a dar voce ai propri tragici vissuti, dichiarando spesso che «Quella donna avrei potuto essere io» oppure «A me non è successa la stessa cosa, ma ho vissuto questo e quest’altro» … Questa moltitudine di voci mi ha toccata molto. Mi sono confrontata con Marija Paganini e ci siamo chieste come poter dar ancora più valore alle decine e decine di testimonianze. Così è nata l’idea del progetto Mamma Nascita Libertà. Un nome che vuole rendere omaggio ed esprimere sorellanza alle donne che in Iran, nello stesso periodo, stavano chiedendo il rispetto dei propri diritti e reclamando uno spazio nella propria società utilizzando lo slogan Donna Vita Libertà.»
In cosa consiste concretamente?
«Il progetto ha dato vita ad un formulario di un’ottantina di domande di cui alcune aperte per dare la possibilità alle donne (che hanno partorito in Ticino dal 2018 a settembre 2023) di raccontarsi. Abbiamo cercato di toccare tutta l’enorme galassia della maternità e genitorialità spaziando dalla struttura scelta per il parto all’allattamento, dal ruolo del partner alla salute mentale, dal postparto alle complicazioni. Il focus era principalmente sulla madre con l’intento di ricordarle che è lei la protagonista. Per rispondere, ogni donna ha dovuto tornare a sé, a cosa ha provato, a come si è sentita, a quanto ha messo in campo di sé stessa durante la nascita dei propri figli. Il formulario andava riempito separatamente per ogni parto vissuto in quanto ogni nascita è unica. Infatti, abbiamo constatato che, spesso, a seguito di un primo parto difficile ne segue un altro in cui la donna e la famiglia fanno di tutto per non far ripetere quanto già vissuto. Questo, purtroppo e soprattutto, a causa dell’erronea aspettativa che la struttura scelta mi prenda a carico quasi sostituendosi a me e decidendo per me e per il mio bene e quello del bambino. Alla fine ci si scontra con la realtà: il sistema non può prendere il tuo posto e quindi il tuo coinvolgimento in prima persona è imprescindibile al fine di vivere un’esperienza positiva. Nessuno si sostituisce alla donna durante il parto, neanche il partner più attento può prendere il suo posto e questo abbiamo voluto ricordarlo alle partecipanti e non solo. Sembra una ovvietà eppure ancora tantissime donne affidano l’incarico al ginecologo evitando di entrare pienamente nel loro ruolo primario. A causa della paura, che è un grande tema di fondo in questo ambito, molte donne scelgono di delegare completamente e di non essere totalmente presenti nell’esperienza. Tante donne mi hanno detto: «Se potessi pagare per saltare totalmente il momento del parto e passare all’avere il bambino in braccio lo farei!». La dice lunga su quanto ancora c’è da fare per cambiare e sanare come viene percepito, raccontato e vissuto il parto. Per questo nel formulario abbiamo elaborato domande che evidenziassero e ricordassero alle donne il messaggio «Tu ci devi essere!».
Quali sono i risultati che ti hanno colpita di più?
«La sera stessa in cui è stato inaugurato il formulario in marzo, risultavano già registrate 250 partecipazioni, il giorno seguente 405, dieci giorni dopo erano 800. Ha subito preso il volo rivelando per l’ennesima volta il bisogno e la voglia di parlare di queste cose. Alla chiusura in settembre c’erano 1278 partecipazioni. I risultati sono stati presentati ufficialmente lo scorso maggio. Il dato più allarmante è che il 30% delle partecipanti prova rabbia e risentimento verso qualcuno o qualcosa. Si collega con lo studio fatto al CHUV nel 2020 da cui risulta che in Svizzera una donna su tre ha un vissuto traumatico legato al proprio parto. Com’è possibile che in quattro anni un dato così eclatante emerso nel nostro bel paese non abbia portato a nessun cambiamento? Com’è possibile che nessuno sia rimasto realmente colpito da un dato così grave? Quattro anni dopo le donne continuano a testimoniare che in Svizzera i parti lasciano traumi indelebili in loro. Una donna su tre, sono tantissime! Se un aereo in volo su tre lasciasse traumi nei loro passeggeri, li lasceremmo volare nello stesso modo? Come si può dare così poca importanza alla nascita? Un altro dato che mi ha colpita è che inizialmente le donne affidano la sicurezza propria e del bambino al ginecologo per poi rendersi conto solo a cose fatte che, per gravidanze fisiologiche e a basso rischio, non è lui/lei la reale figura di riferimento al parto, bensì l’ostetrica. Ne deriva il rimpianto di non essersi informate abbastanza e non essersi rivolte per tempo a una levatrice che le accompagnasse durante tutto il percorso. C’è una frase citata dall’organizzazione italiana Parto Positivo che amo molto: «Andare dal ginecologo quando si è incinte è come andare dal gastroenterologo quando si hanno le farfalle d’amore nella pancia». Sia chiaro, lo studio non è stato inteso a fragilizzare chi si appresta a vivere una nascita, un’alta percentuale dimostra soddisfazione per i propri parti. Siamo consapevoli che viviamo in un paese in cui il sistema sanitario è di qualità, l’ospedale deve restare un posto in cui, chi ne ha bisogno, entra fiducioso ma sapendo che la sua voce ci deve essere e deve venire ascoltata. Il risultato più importante del questionario è che le donne non dicono che è tutto un disastro ma hanno riconosciuto, e ora dichiarano e condividono, che loro devono essere protagoniste assumendosi scelte e responsabilità. Ci tengo anche a evidenziare che sette donne hanno affermato di aver avuto un orgasmo durante il parto. È importante che lo si sappia proprio per scalfire la narrazione negativa e affermare che esiste il piacere del parto, inteso come qualsiasi tipo di piacere, non solo sessuale».
La maggior parte delle donne che ha partecipato al sondaggio ha partorito in ospedale rivelandolo come luogo preferito per partorire piuttosto che il proprio domicilio o la casa nascita.
«Sì, questo conferma che non è uno studio basato su una tendenza né un progetto dedicato a una cerchia ristretta di donne con un certo tipo di idee. Ha partecipato davvero una casistica variegata andando a toccare un’ampia fetta della popolazione incluso chi, per scelta o necessità, ha avuto un cesareo. Quello che noi riteniamo un parto positivo è un parto in cui la donna è stata e si è sentita rispettata, vaginale o cesareo per questo discorso è indifferente. Invece, per nulla indifferente è che chi entra in ospedale e chiede di essere accompagnata in un certo modo durante il parto, viene etichettata come quella scontrosa o esaltata o la strana di turno. La soggettività è tutto e va tenuta in considerazione. Quante donne dichiarano di avere un vissuto che le ha profondamente ferite quando sulle loro cartelle cliniche è scritto che dal punto di vista medico è andato tutto bene! Dai risultati emerge anche che ciò che lascia strascichi negativi e debilitanti a lungo termine non sono tanto gli interventi medici quanto i modi: sarcasmo, derisione, battute tra il personale medico, mancanza di intimità, sentirsi abbandonate o di troppo o solo un numero. Frasi del tipo «Adesso smettila di urlare!», «Stai esagerando!», «L’han fatto tutte puoi farlo anche tu!», … sono frasi di cui si abusa e che fanno sentire abusate. Serve molta più accortezza in questo senso. Ci sono donne di ottant’anni che sono venute a raccontarmi con le lacrime agli occhi i loro traumi o gli aborti vissuti perché quel dolore se non lo si accoglie e non gli si dà spazio resta lì tale e quale. In quanti reparti maternità oggi la donna viene posta al centro, valorizzata e riconosciuta per tutto il suo potenziale? In quanti e quante volte le chiedono «Tu cosa vuoi?».
Le donne hanno paura di partorire, molte ne sono terrorizzate e la società continua incessantemente a nutrire questa paura anziché potenziare la donna attraverso comprensione, informazione, strumenti intrinsechi e supporti esterni, consapevolezza, vicinanza, …
«La paura che permea tutto ciò che riguarda il partorire è un grande ostacolo che blocca la percezione stessa della realtà fino ad aver invertito le cose: oggi è talmente radicata la paura del parto che chi lo ha vissuto in maniera positiva, bella e potente non osa nemmeno dirlo perché non viene creduta. Io stessa quando alle mie amiche ho condiviso la grandiosità dei miei parti, includendo sempre di aver anche provato dolore, mi son sentita dire «Non è vero, menti!». La paura crea resistenza. Donne mi hanno confessato di non aver letto niente sul tema durante le loro gravidanze e di non essersi informate perché dal momento che avrebbero saputo avrebbero anche desiderato, ed essendo convinte che invece sarebbe comunque stato un disastro hanno preferito non avere aspettative così da non scontrarsi poi contro un muro di delusione. Questo ragionamento è atroce. Navigando in questa enorme paura, il bambino diventa il premio dopo il trauma che diventa un prezzo imprescindibile da pagare, un ponte da attraversare per poter avere un bambino. Sono convinta che le persone al giorno d’oggi diano per scontato che partorire sia traumatico, che è così che funziona, che è normale che fare un bambino sia drammatico. Si può scegliere se entrare con tutta te stessa nell’esperienza ed esserci fino in fondo oppure scappare, delegando la responsabilità e le scelte ad altri, non informandosi, standoci dentro il meno possibile. Così facendo, però, si perdono e rompono pezzi di sé per cui ci si ritroverà mesi/anni dopo a dover chiedere aiuto per ritrovare un senso di completezza. Ciò su cui noi puntiamo tanto è quello di fare in modo che la donna sia totalmente presente durante il proprio parto. Non significa essere nel controllo e ostinarsi a farlo andare come lo si era immaginato ma aprirsi a quello che sta accadendo e abbracciare incondizionatamente il proprio essere, il proprio corpo e il bambino che sta nascendo. Molte donne hanno raccontato di parti difficili e complicati ma durante i quali non hanno mai smesso di essere partecipi e in connessione con sé stesse e il bebè, questo ha fatto sì che ne siano uscite trasformate e orgogliose della propria esperienza. Si è evidenziato molto che la questione non è cosa ti succede ma come tu ti poni. Il senso di sconfitta e gli sguardi più vacui che ricordo non sono quelli delle mamme che hanno vissuto trasferimenti in reparti neonatali di altri cantoni o operazioni d’urgenza, ma di quelle mamme che hanno subìto il proprio parto, che ancora oggi si chiedono cosa sia successo e se quel che è successo sia stato davvero inevitabile e necessario; di quelle che ancora oggi non hanno ricevuto spiegazioni concrete e giustificate per essere state separate ore dal proprio bebè o che hanno dubbi sulle procedure verso le quali non hanno osato opporsi».
Questo studio verrà preso in considerazione dai professionisti del settore e quali sono i prossimi passi in questo senso?
«Negli anni ho compreso che occorrono cautela e determinazione, spesso un’osservazione viene respinta perché si pensa vada a minare la professionalità, viene presa come un giudizio negativo assoluto del proprio operato e quindi scatta un istinto di auto conservazione. Ora però siamo in tante, vogliamo aprire un dibattito e rivolgerci a chi accompagna le donne e le famiglie al parto. Si può essere un/a bravo/a medico ma avere lacune dal punto di vista umano. Da decenni ci sono studi che dimostrano come determinate cose condizionano l’andamento e l’esperienza del parto, da decenni ci sono persone (studiosi, levatrici, doule, medici, …) che fanno informazione su quali cambiamenti è urgente adottare eppure il sistema sanitario tentenna e fatica anche solo ad ascoltare perché focalizzato alla propria conservazione. Cambiare non piace. A questo punto è necessario avere la voce ferma, smetterla di continuare a spiegare o chiedere per favore e iniziare a pretendere ciò che sappiamo essere il meglio per noi stesse e per i nostri figli. Parliamo di buon senso tra l’altro, non di chissà quali misure stravaganti. La prima grande rivendicazione che esce da questo studio è che le donne chiedono di avere accanto la propria levatrice di fiducia ma ancora oggi in ospedale questo non è possibile. È così difficile intuire i benefici della presenza di una persona conosciuta e non di un’estranea in quelle ore di vulnerabilità totale? Dallo studio emerge che le mamme che hanno scelto la casa nascita e maternità Le Dieci Lune, manifestano una positività impressionante. Questo fa riflettere sulla continuità dell’accompagnamento!
Sono già stati fatti passi a livello politico anche grazie alle iniziative portate avanti dall’Associazione Nascere Bene Ticino. Ricordiamo che questa richiesta era già contenuta nella mozione «Per un’ostetricia sicura e di qualità» di Gina La Mantia e cofirmatari/ie del 19 settembre 2016, approvata a larga maggioranza dal Gran Consiglio nel 2020 ma le cose si sono nuovamente arenate. Faremo arrivare a chi di dovere i risultati del nostro studio, incluse le proposte di altre misure per migliorare l’esperienza del parto, e continueremo a farci sentire finché le cose non si muoveranno. Abbiamo inoltre deciso di proseguire il progetto con la pubblicazione di un libro dove verranno inclusi i risultati del sondaggio ma soprattutto una raccolta di suggerimenti di ogni tipo scritti nel formulario dalle donne e rivolti a donne in procinto di diventare madri. Secondo noi sono saggezze dal valore inestimabile e volevamo che fossero accessibili, perché un conto è ciò che ci dice la ginecologa ma noi cosa ci diremmo l’una all’altra con sorellanza?».
È possibile contribuire alla realizzazione del libro attraverso la raccolta fondi alla quale si può accedere dal sito mammanascitaliberta.ch
Sono ripresi gli incontri «La Stanza della Sorellanza», in cui proseguire il discorso e la condivisione partendo dai risultati dello studio. Luoghi e date consultabili sul profilo mamma.nascita.liberta di instagram.