Elettrosensibilità – La patologia silente

elettrosensibili

di Cindy Fogliani

Incontrarsi non è facile. Scegliamo una località nel Locarnese un po’ meno inondata dalle altre, almeno così ci dicono i nostri interlocutori che sono informatissimi in merito. Ideale sarebbe un locale con una saletta appartata, così da evitare gli avventori che utilizzano il cellulare e avere magari anche un wi-fi meno forte. La giornata è soleggiata ed è un sollievo: possiamo sederci fuori, che di regola pare essere la migliore soluzione.

Nonostante questo Patricia è disturbata. Roberto prende un misuratore di campi elettormagnetici, il valore medio è di 1.51 V/m; inferiore al valore limite di 6 V/m, ma venticinque volte superiore al limite biologico (SBM-2015 di 0.06 V/m). Siamo in attesa di una telefonata urgente ma dobbiamo spegnere il telefonino per il benessere di chi ci attornia. Ci chiamano sul fisso del ristorante, un antico telefono a disco affisso al muro con le campanelle della suoneria sopra, che funziona perfettamente e ci regala un simpatico revival. Sarebbe stato meglio fermarsi lì?

Ne approfittiamo per chiedere al gestore se c’è un wi-fi acceso spiegando che siamo accompagnati da persone elettroipersensibili (EHS) che ne sono infastidite. Ci guarda, annuisce e sorride, ma nulla cambia. Torniamo a sederci, nel tavolo accanto al nostro un cliente avvia una conversazione al cellulare. Patricia non ha bisogno di voltarsi per accorgersene: «mi fischia tutto». Non abbiamo ancora iniziato ma potremmo finirla qui, il calvario quotidiano degli elettroipersensibili è già evidente.

Invece andiamo avanti. Comincia Antonio (nome di fantasia in quanto desidera restare anonimo) perché vuole finire prima delle quattro, orario in cui i mezzi pubblici si riempiono di scolari e studenti ognuno col suo dispositivo in funzione che fatica a sopportare. «Attraversare Piazza Grande a Locarno per me è diventato un problema», ci dice questo pensionato che a lungo ha lavorato nel settore delle telecomunicazioni. «Ho seguito l’evolversi della telefonia mobile dagli esordi a oggi. Già con i primi telefonini tascabili che incorporavano l’antenna ero infastidito dal calore che percepivo attorno all’orecchio durante le chiamate, per cui li ho sempre utilizzati poco e con il vivavoce». I colleghi cosa dicevano? «Mi prendevano per uno strano, ma neanche io non ne ho mai fatto una tragedia». Per molti anni la cosa è andata avanti così senza che ci facesse troppo caso, poi è arrivato il wi-fi in casa. «Era sempre acceso, non sapevo neanche si potesse spegnere. Ringrazio un’amica che mi ha fatto notare la sua dannosità. Personalmente non pensavo fosse un problema fin quando è stato manifesto». Antonio percepisce pressioni in varie parti della testa e accusa problemi di stanchezza, sonno e mancanza di concentrazione. È preoccupato perché ultimamente gli è capitato di stare male per più giorni dopo aver trascorso un giorno in città, e ha accusato una ferita interna all’occhio, con sanguinamento e conseguenti «farfalle» dopo aver camminato per qualche ora su un sentiero che seguiva una linea di alta tensione. «Sentivo una reazione agli occhi ma ho deciso di proseguire l’escursione visto che ero con un amico, evidentemente avrei dovuto allontanarmi». Coincidenza o causalità? Per Antonio non ci sono dubbi, ma dimostrarlo è difficile. Quando lavorava in ufficio e chiedeva di spegnere telefonini e wi-fi gli è capitato però di sentirsi dire da alcuni colleghi: «In effetti c’è una differenza. Ci sentiamo meglio anche noi».

«Perdita di energia e concentrazione sono sintomi tipici dell’esposizione ai campi elettromagnetici artificiali», ci spiega Roberto Wettstein, ingegnere HES in Energia, la cui elettroipersensiblità lo ha portato a specializzarsi nel settore. Sintomi subdoli, che si potrebbero non riconoscere. «Da un sondaggio svolto dall’ETH di Zurigo nel 2020 il 10,6% degli intervistati si è dichiarato elettrosensibile, contro il 5% del 2004, mentre il 30.9% non è sicuro di esserlo». Sono dati da non sottovalutare. Roberto ha impiegato otto mesi a capire quale fosse l’origine dei pesanti problemi di salute comparsi circa dieci anni fa che lo hanno portato sull’orlo del baratro: la nuova antenna 4G piazzata vicino a casa. «Stavo malissimo, avevo gonfiori e arrossamenti su tutto il corpo, la testa sembrava un pallone, non riuscivo a prendere sonno a causa di un rumore persistente nell’orecchio (tinnitus) . Col tempo mi sono reso conto che in alcuni luoghi stavo meglio e in altri, come a casa, peggio. Ho cominciato a dormire in un appartamento in Italia, lontano da antenne e non riscaldato, rientrando ogni giorno in Ticino per lavorare, e i sintomi sono subito migliorati. A quel punto ho pensato all’inquinamento elettromagnetico e ho cominciato ad approfondire e prendere provvedimenti». Attualmente il problema è poco conosciuto e ancor meno riconosciuto così che chi ne soffre si trova da solo sia nella diagnosi sia nell’ideare soluzioni adeguate. Roberto ha dovuto schermare la casa e ha fatto di questa esperienza la sua nuova professione aprendo uno studio di elettrobiologia. Dopo dieci anni di lotta l’antenna è stata tolta, nel frattempo è stato deciso di posarne una nuova e più potente ancor più vicino alla popolazione. «Ci stiamo battendo affinchè la nuova antenna venga posta ad almeno duecento metri dall’abitato, senza aumento di potenza». Avendo l’abitazione schermata per Roberto potrebbe cambiare poco ma si preoccupa per gli altri abitanti del quartiere. Da tempo si batte contro le antenne troppo potenti e troppo vicine ai cittadini, attraverso l’associazione Frequenze evolutive (AFE) che presiede: «Come consulente vengo chiamato sempre più spesso e, purtroppo, noto che l’età delle persone che sviluppano EHS e ES (Elettrosensibilità) si sta velocemente abbassando». Una nota positiva, un numero crescente di aziende si preoccupa delle ripercussioni sul personale dovute all’esposizione ai campi elettromagnetici e richiede la sua consulenza: «Si tratta di aziende che investono sul benessere del proprio personale». La problematica è dunque sempre più percepita anche se in Svizzera l’EHS non è riconosciuta, a differenza di quanto succede in altri paesi. «Vi sono numerose informazioni online, ma nella società si è soli», ci dice Patricia Schera, elettroipersensibile che vorrebbe creare una rete di mutuo sostegno all’interno di AFE, «le persone restano nell’ombra, solo pochi si annunciano». Le chiediamo quanto costa essere elettrosensibili: «Circa venticinquemila franchi» è la risposta immediata. Le spese sono dovute a schermatura degli spazi di vita, indumenti di protezione che sono da cambiare regolarmente perchè l’argento ossida e perde la sua efficacia, all’apparecchio di scarica, a tessuti speciali e baldachini carissimi, a terapie e cure mediche non riconosciute dalla cassa malati: «Biorisonanza, agopuntura e altre terapie naturali aiutano, come lo stare in natura e curare l’alimentazione». Nel suo calcolo non è inclusa la perdita di guadagno. Per persone con elevata sensibilità è difficile frequentare luoghi pubblici e la maggior parte dei luoghi di lavoro, mentre le assicurazioni malattia e invalidità non riconoscono questo disturbo. Abbiamo conosciuto Patricia tredici anni fa frequentando un corso di AyurYoga: «Ormai la sala di Bellinzona l’ho lasciata e anche quella di Minusio. Mi era impossibile lavorare là dentro e, purtroppo, è sempre più difficile trovare luoghi adatti che non siano inquinati e persone disposte a spegnere il cellulare». Con l’uso sempre più massiccio di wi-fi, telefonini, contatori intelligenti, e un crescente numero di apparecchi che emettono frequenze, l’inquinamento elettromagnetico è sempre più forte e presente. Anche Patricia ha schermato la casa ma vorrebbe trovare un luogo appartato nella natura. Oltre al fischio che percepisce, ha problemi di sonno, stanchezza, concentrazione e di metabolismo. Dopo mezz’ora che siamo seduti a parlare gli indumenti di protezione a contatto del corpo non bastano più. Prende dall’auto la cappa e il berretto che, intessuti con fili d’argento, proteggono dalle onde elettromagnetiche: «Recentemente ho acquistato uno spolverino che protegge fino a 40 GHz, contro i 26 che avevo prima. L’ho prestato a un’amica che doveva recarsi a Barcellona che mi ha riferito come fosse l’unico indumento che funzionasse». Patricia riesce a stare su un aereo solo se bardata di capi appositi che, essendo metallici, non superano il check point. «Per imbarcarsi è necessario avvisare l’aeroporto con anticipo e presentare i dovuti certificati che in Svizzera non è possibile avere a casua della mancanza di formazione specifica dei medici: il mio l’ho ottenuto in Italia da un medico del lavoro che è anche medico per l’ambiente specializzato in EHS». Sta consultando i pochi medici che in Europa si interessano del problema. Tra questi c’è stato un incontro con il medico francese e professore in oncologia Dominique Belpomme, autore con altri ricercatori dell’opera «Le livre noir des ondes, il pericolo delle tecnologie senza fili e come proteggersi», che si batte affinché l’EHS venga finalmente riconosciuta come patologia. Belpomme ha anche notato una correlazione tra esposizione a campi elettromagnetici artificiali e insorgenza di tumori. «Continuo a cercare soluzioni a questo problema di salute che non siano solo camminare a piedi nudi sull’erba, andare nel bosco, prendere integratori specifici, coprirsi, fare la macchina di scarica e cercare di restare il più possibile lontano da fonti elettromagnetiche artificiali», spiega Patricia, ma finora non l’ha trovata. La EHS è associata alla MCS, ovvero Multiple Chemical Sensitivity, che possiamo tradurre come sensibilità alle sostanze chimiche che comporta, per esempio, intolleranza o allergia a profumi, saponi, additivi e varie sostanze chimiche di sintesi: «È come se portassimo un grande zaino ormai pieno, ogni cosa artificiale in più è di troppo e l’organismo deborda». Essendo questi disturbi spesso correlati, il tutto può prendere il via da una sensibilità per poi estendersi anche all’altra. Per questo è consigliato a chi accusa uno di questi disturbi di prevenire l’insorgenza dell’altro evitando le inutili esposizioni. «Tutto ciò che è artificiale è problematico, tutto ciò che è naturale è benefico» sintetizza Roberto. Anche un albero: «Sotto un grande albero in genere i valori di elettrosmog diminuiscono. Purtroppo capita che i pochi alberi presenti negli ambienti urbani vengano tagliati per evitare interferenze o per altri motivi». Patricia e Roberto sono attivi nell’Associazione frequenze evolutive che, fra le tante cose, promuove tecnologie sicure e spiega come utilizzarle al meglio. L’installazione e il potenziamento delle antenne di telefonia mobile negli abitati è un problema. Per limitarlo è importante la collaborazione di tutti, soprattutto dei confinanti quando si tratta di opporsi a nuovi progetti. Roberto alza gli occhi: «Vedi quelle modine là?», ci dice indicando fra i tetti del nucleo del paese: «C’è in progetto una nuova antenna». È possibile fermare questa evoluzione? «Con una presa di coscienza generale sarebbe possibile introdurre regole sensate e accorgimenti tecnici che permettono di utilizzare la tecnologia limitando molto l’inquinamento elettromagnetico, per esempio favorendo la fibra ottica negli agglomerati. Purtroppo, al momento non sembra essere una priorità, chi lo desidera o chi lo necessita deve provvedere autonomamente alla salubrità dei propri ambienti di vita. Al momento siamo noi i maggiori responsabili dell’inquinamento elettromagnetico che abbiamo in casa ma, con l’arrivo del 5G, degli smartmeter e dell’internet delle cose, questa situazione sta cambiando molto velocemente». È tempo di salutarci e Patricia lascia cadere un ultimo peso dal cuore: «Molti giovani elettroipersensibili in questo mondo non vedono un futuro. Purtroppo, qualcuno si è già tolto la vita».