“Nella foresta di Arnot le api selvatiche convivono con la varroa dal 1994 senza troppi problemi“
Di Cindy Fogliani
«Le api, in questo periodo, sono in difficoltà», ha affermato durante un workshop sull’apicoltura naturale organizzato dall’Associazione Apistica Naturale Italiana (AANI) Thomas D. Seeley. Thomas ha studiato le api mellifere per oltre cinquant’anni in natura e in allevamento divenendo uno dei massimi esperti in materia a livello mondiale, è autore di numerose pubblicazioni sulla biologia e il comportamento di questi insetti e apicoltore lui stesso: «Quando circa cinquant’anni fa ho iniziato l’apicoltura di tutte le malattie e i problemi ambientali che ci sono oggi ve n’era solo uno: la peste americana. Per questo le api riuscivano a far fronte più facilmente alle manipolazioni umane. Oggi è diverso e l’apicoltura va adeguata alla nuova situazione. Nella mia esperienza vedo che le api a cui è concesso di vivere nel modo più naturale possibile riescono per la maggior parte a sopravvivere anche alle condizioni attuali, senza necessità di trattamenti e interventi invasivi».
Cosa significa per le api vivere nel modo più naturale possibile è la sua ricerca di una vita, che ha condotto per oltre quarant’anni dietro casa sua, nella foresta di Arnot, nello stato di New York. Qui ha ricercato, osservato, analizzato, misurato abitudini e comportamenti delle api mellifere in natura e, in seguito, vedendo come se la cavavano decisamente meglio rispetto a quelle gestite dall’uomo, ha cercato di capire quali condizioni naturali potessero essere implementate in un apiario.
Per Thomas una cosa è chiara: l’apicoltura naturale non è per tutti. Principalmente non è per coloro che puntano a massimizzare la produzione di miele e possiedono centinaia di arnie. Piuttosto è per coloro che sono interessati a un raccolto modesto ma sufficiente e di ottima qualità organolettica. La differenza che intercorre tra queste due modalità è la stessa che intercorre tra un’azienda che produce tonnellate di mais da vendere all’ingrosso e l’hobbista che si coltiva il mais nel suo orto. In Ticino la maggior parte degli apicoltori appartengono alla seconda categoria: sono hobbisti oppure producono un guadagno accessorio. Non per questo sono attualmente votati all’apicoltura naturale che è quasi assente sul territorio. Al workshop hanno partecipato alcuni membri dell’associazione Apicoltura Tre Valli (Riviera, Blenio e Leventina). Molti di loro sono apicoltori di lunga data: «Le difficoltà di cui parla Seeley sono sotto gli occhi di tutti, l’apicoltura è sempre più complessa una cosa che gli apicoltori vivono quotidianamente sulla propria pelle. Arnie vuote, morie, trattamenti, a nessun apicoltore piace utilizzare prodotti chimici ma nemmeno abbandonare le proprie api a un tragico destino. Le alternative sono poco o per niente conosciute e più di uno finisce per gettare la spugna. L’esperienza di Seeley e di tanti altri che nel mondo praticano l’apicoltura naturale è un segno di speranza che indica una via d’uscita: bisogna cambiare paradigma ma possiamo farcela», ci dice il Presidente Mauro Merzaghi.
Costante riduzione di pascolo, prodotti fitosanitari, cambiamenti climatici, malattie, sono molti gli aspetti che mettono le api in sofferenza ma quello predominante è la diffusione della varroa, un acaro che si attacca alle api mellifere indebolendole e si riproduce nelle loro colonie. La difesa dalla varroa ha causato un elevato impatto economico in apicoltura e affermare oggi che si può convivere con la varroa senza applicare trattamenti nella stragrande maggioranza degli ambienti apistici è pura eresia. Al massimo c’è chi cerca di ridurli al minimo. Eppure Seeley ha visto che l’arrivo della varroa nella foresta di Arnot, dove l’acaro è stato avvistato per la prima volta nel 1994, non ha modificato negli anni il numero di colonie presenti e nemmeno ha comportato per loro grossi cambiamenti nello stato di salute seppur il parassita fosse presente in tutti i popoli. È stato così che Seeley ha deciso di replicare il più possibile le condizioni di vita naturali in apiario e ha stilato una lista degli accorgimenti più importanti tra cui troviamo una netta riduzione delle dimensioni dei popoli e dunque dell’arnia (lui utilizza arnie Langstrooth), l’aumento della distanza fra le arnie, pareti interne irregolari che stimolano la copertura con propoli.
Naturalmente numerosi altri fattori influiscono sul benessere delle api e la loro capacità di far fronte alle diverse insidie. L’isolamento invernale dal freddo, la disponibilità di miele per la colonia, la genetica dell’ape stessa, tema, questo, molto caro ad Apicoltura Tre Valli che ha riportato in vita la stazione di fecondazione naturale in Val Pontirone, che ha lo scopo di premiare api rustiche, ovvero adattate al territorio.
«A determinare le caratteristiche genetiche di una colonia è soprattutto l’ape regina, che è la madre di tutti. Oggi le api regine possono essere acquistate in Internet e provenire da ogni parte del mondo e, dunque, non essere adattate alle condizioni territoriali locali. In natura si nota che vi sono differenze genetiche fra le api già a partire da microregioni. Importanti sono anche i criteri con cui si selezionano le regine che possono essere produttività e docilità, che sono i criteri che hanno prevalso finora, oppure resistenza alle malattie, rusticità, che sono i criteri che portiamo avanti noi e che crediamo sia indispensabile introdurre al fine di tornare ad avere api che sopravvivono in autonomia».
Convertirsi all’apicoltura naturale non è semplice per chi pratica da tanti anni tecniche tradizionali; vi sono rischi, poche conoscenze e poca esperienza, per lo meno in Cantone Ticino. La convivenza con altri sistemi di allevamento può risultare problematica, addirittura la convivenza stessa perché in natura vige una regola non scritta, ma rispettata, sul numero di colonie presenti in un territorio. Un sovrappopolamento può portare a più malattie e a carenza di pascolo. Questo parla decisamente a sfavore di produzioni con un numero elevato di arnie. Api e fuchi hanno un raggio di azione di diversi chilometri, per cui risulta difficile avere un controllo sulla genetica delle proprie colonie. Nonostante questo è una strada che per molti val la pena di compiere nell’ottica di un ritorno alla natura, all’intelligenza della natura, riconosciuta superiore alla nostra. Di sostegno possono essere le pubblicazioni oggi reperibili sul mercato, la stazione di fecondazione in Valle Pontirone gestita da Apicoltura Tre Valli.