“Con il giusto accompagnamento questi bambini possono divenire adulti che contribuiscono alla società invece di dipenderne”.
Di Clarissa Semini.
Dal sito della Confederazione risulta che in Svizzera si contano circa 270 diagnosi di autismo ogni anno. Per comprendere cosa sta alla base dell’autismo è necessario partire dal concetto di neurodiversità: una mente atipica, tra cui quella delle persone autistiche, funziona seguendo canoni differenti da quella neurotipica. Essendo difficile racchiudere questi canoni in categorie precise, è nato il concetto di spettro autistico per parlare di persone diverse tra loro, ma con caratteristiche comuni.
Abbiamo raccolto alcune testimonianze di famiglie con bambini autistici. Nonostante ogni persona e famiglia viva una realtà diversa, esistono difficoltà comuni, soprattutto per quanto riguarda l’integrazione, la comprensione, il supporto e gli aiuti. Coloro che hanno parlato con me l’hanno fatto con il cuore in mano. Hanno condiviso esperienze molto intime, alcune dolorose a cui ritengo importante dar voce senza giudizio verso nessuno, ma per diffondere consapevolezza e chissà, magari contribuire a introdurre migliorie laddove possibile e necessario.
Nell’immaginario comune gli autistici non parlano e non ti guardano, ma non è sempre così. A causa di queste generalizzazioni capita che le diagnosi vengano fatte con grande ritardo, anche quando i genitori si rivolgono ai medici tempestivamente perché intuiscono che qualcosa non va. Ci sono bambini nello spettro autistico che, apparentemente, sembrano saper fare tutto quello che fanno i bambini della stessa età, vanno a scuola e non hanno handicap fisici o mentali. Di fatto, però, non sono in grado di fare quasi nulla di quello che fanno gli altri. La loro percezione fisica è molto intensa. Il loro corpo rimanda tutto amplificato ed è estremamente complicato farsi carico di così tanti segnali. In molti ancora credono che gli autistici non abbiano empatia, l’abilità di percepire i pensieri e le emozioni degli altri. Numerosi studi hanno invece dimostrato, e possono pienamente confermarlo molti genitori osservando i loro figli ogni giorno, che ne hanno talmente tanta da non essere in grado di gestirla e men che meno di esternarla. Genitori con cui ho parlato hanno desistito tante volte dal fare attività all’aperto con i loro bambini perché il sovraccarico sensoriale è sempre dietro l’angolo. Ogni uscita è anticipata da una lunga preparazione a casa in cui gli si spiega dove si va e cosa si fa. È un complesso percorso di preparazione che da una parte azzera totalmente la spontaneità e l’improvvisazione, dall’altra piano piano li fa tornare a muovere passi nel mondo, ad avere una vita sociale e comunitaria, ma non sempre funziona. Una mamma ha raccontato di aver tentato di partecipare a un evento con tutta la famiglia, incluso il figlio autistico. Hanno elaborato con lui per mesi come si sarebbe svolto. Arrivati lì, ha avuto un meltdown (crisi da sovraccarico). Ci sono state persone che si son fermate a guardarlo ridendo e indicandolo, altre che dicevano ai propri figli «Se ti comporti come quello … !». A questa madre si è schiantato il mondo addosso: «Riuscivo anche a mettermi nei loro panni, vedevo che mio figlio in quel momento poteva sembrare un buffone, ma il punto è proprio che quel che sembra non è detto corrisponda alla realtà o potrebbe essere solo la punta di un enorme iceberg sottostante. Quello lì per terra che urla e scalcia e sembra un gran maleducato è un bambino in seria difficoltà, che non sa come farsi scivolare via tutte le stimolazioni visibili e invisibili, udibili e non, con cui viene bombardato e che mandano in corto circuito il suo corpo e il suo sistema».
Vien da chiedersi se il problema sia dei bambini che sfogano il sovraccarico come possono o di chi trae conclusioni senza sapere, senza voler davvero comprendere e tendere una mano. Ci sono genitori che riflettono costantemente su quanto sia o meno giusto obbligare i propri figli autistici a non urlare quando hanno un meltdown o se vivono un momento di paura mentre sono in giro. Avere un figlio autistico significa anche alzarsi ogni mattina con un sacco di domande, porsele per tutto il giorno e andare a letto con un sacco di altre nuove. È un continuo interrogarsi se le decisioni prese siano corrette o sbagliate. Le reazioni di questi bambini, oltre a essere di necessità fisiologica, sono anche ingovernabili e, in un certo senso, involontarie. Molti di loro non hanno ancora acquisito altre strategie. L’unica alternativa è anticipare o evitare. Alcune madri mi hanno confessato che, dopo tutte le volte in cui si sono sentite giudicate, con gli occhi puntati addosso, in cui la loro famiglia è stata fraintesa e i loro figli etichettati come quelli fuori controllo, si sono chiuse in sé stesse. A volte riescono a stare in queste situazioni nonostante tutto, a volte è semplicemente troppo. «Mi manca molto poter scoprire il mondo insieme, mostrargli nuovi posti, visitare nuove città, condividere la bellezza attorno a noi. Mi sembra di non essere in grado di insegnargli la vita. Non so nemmeno se sperare che magari quando sarà più grande sarà diverso, non tanto per non cadere in disillusioni ma perché mi fa strano sperare che diventi qualcuno che non è. A volte immagino che una mattina si svegli, mi guardi negli occhi e mi dica «ciao mamma, come stai?» .
Queste famiglie vivono cose che scavano dentro e spostano su altri piani, che vanno ben oltre i propri bisogni emotivi e a come si è abituati ad essere genitori e stare al mondo. Con figli nello spettro autistico le aspettative crollano e la vita spinge fortemente verso altre dimensioni per raggiungere il punto d’incontro. Mentre osservano i loro bambini vedono che sono da qualche parte, che stanno pensando a qualcosa, che in loro si muovono sensazioni. Vorrebbero esserne partecipi e c’è in questi genitori il costante desiderio di entrare nel loro mondo o di fare entrare loro nel nostro, eppure è come se manchi un pezzo per poter costruire il ponte. «Vorrei un giorno riuscire a vedere mia figlia! Credo che i vari approcci che vengono insegnati manchino di qualcosa di essenziale. Nonostante gli strumenti che ho messo in campo finora, mia figlia resta per me un mistero che non riesco a penetrare. Sento che con lei c’è un passaggio in più da fare che bypassa le forme di comunicazione che conosciamo, aggira perfino il linguaggio del corpo sul quale non si può fare affidamento in questi casi. È come se fosse in un mondo parallelo, irraggiungibile. Il suo sguardo è sempre da un’altra parte e non avendo la possibilità di guardarla negli occhi non posso nemmeno leggerle dentro attraverso di loro. Ogni giorno mi chiedo se riuscirò mai a incontrarla».
Molte persone nello spettro mostrano che, oltre a quelli comunemente conosciuti, ci sono anche altri modi per funzionare. Solitamente si cerca di costringerli a diventare più come noi anziché avvicinarci a loro.
«Il mio dilemma è proprio questo: quanto devo cercare di adattare mio figlio alla nostra società? Quanto rischio di snaturarlo? È giusto costringerlo a fare cose solo perché le fa la maggioranza? Se a lui non interessano, è davvero così sbagliato? Osservando la società in questo momento storico, magari avremmo da guadagnarci a fare un passo nel suo mondo invece di tirare lui in questo. Fa dei ragionamenti logici estremamente precisi ed espone riflessioni sull’universo strabilianti. In lui pulsa una connessione con l’oltre alla quale vorrei tanto poter contribuire concretamente e non solo vagamente intuire».
Online ho ascoltato diverse interviste rivolte a giovani nello spettro autistico (ne scrivo più avanti nella rubrica Essere Umani) che rivelano doti e abilità straordinarie, spesso ignorate e sprecate perché ancora si pensa che in un corpo che funziona diversamente non possa vivere una persona competente, molto intelligente, sensibile e con qualità eccezionali. Nella Svizzera italiana l’insegnamento rivolto a questi ragazzi è adeguato? Il nostro sistema scolastico è molto nozionistico, non è sempre ideale per l’apprendimento in generale, ancora meno lo è per chi è autistico e la maggior parte delle cose le apprende molto più velocemente o le conosce di suo. Le uniche scuole che hanno adottato metodologie diverse sono private ed economicamente inaccessibili per molti. Ci sono paesi in cui i bambini con un quoziente intellettivo alto, come è il caso della maggior parte di questi ragazzi, vengono da subito inseriti in scuole private perché ne viene riconosciuto il talento e il potenziale che, se accompagnati a sviluppare correttamente, in futuro potranno mettere al servizio dell’umanità. Se anche da noi questi bambini ricevessero più aiuti da piccoli, probabilmente diventerebbero adulti più indipendenti e con grandi doti da mettere a disposizione anziché persone che devono dipendere a oltranza da aiuti esterni. «Mia figlia intellettualmente in futuro potrebbe andare al liceo senza problemi, ma se nessuno oggi le insegna a studiare non sarà in grado di frequentarlo. Quando esponiamo queste problematiche, ci viene risposto di rivolgerci ai tutor dell’apprendimento, ma chi li paga?».
La scuola inclusiva è un’ottima idea ma andrebbe ulteriormente migliorata, come riportano le testimonianze di diverse famiglie. In canton Ticino viene autorizzata la presenza dell’OPI (Operatore Pedagogico per l’Integrazione) per un massimo di dieci ore settimanali, cioè due ore al giorno. Significa che l’allievo è accompagnato da qualcuno dalle 8 alle 10 e il resto della giornata si deve arrangiare. L’insegnante di sostegno deve occuparsi anche di altri alunni. Ricade quindi tutto sulle spalle del maestro che ha una classe intera su cui concentrarsi e non è detto sia preparato sull’autismo. I maestri sono in difficoltà e in simili progetti devono essere adeguatamente affiancati. L’impressione dei famigliari è che i loro figli vengano parcheggiati qua e là. C’è chi frequenta anche un CPE (Centro Psico Educativo) mezza giornata a settimana per novanta minuti effettivi. L’obbiettivo è stimolare l’apertura sociale, modulare e contenere le reazioni eccessive nelle relazioni con gli altri e sviluppare le capacità di riconoscimento e gestione delle emozioni legate allo stare insieme ma è difficile raggiungerlo con soli novanta minuti settimanali. Probabilmente un educatore specializzato che segua a tempo pieno il bambino a scuola otterrebbe migliori risultati. Attualmente, molto dipende dalle direzioni dei singoli istituti scolastici che possono decidere o meno di formare i propri insegnanti riguardo l’autismo o altre specificità degli allievi, ciò che non sempre accade.
Alcuni sintomi dell’autismo sono la sovrastimolazione e le difficoltà sensoriali, e per questi bambini stare in classe può essere un vero inferno. È difficoltoso per loro stare un’intera giornata in mezzo a una ventina di voci che spesso parlano contemporaneamente e arrivano al punto di urlare per sfogare tutto quel carico. Qualcuno che urla spaventa, ma non è per forza pericoloso. La violenza non è una caratteristica dei bambini autistici. Al contrario, spesso sono loro a essere giudicati, allontanati, maltrattati o bullizzati, non solo dai coetanei. Le loro urla rappresentano spesso una richiesta di aiuto, uno sfogo, stanchezza, disperazione. Dubbi e timori a volte affiorano negli altri genitori, per questo una corretta informazione è fondamentale. «Non ho mai visto i compagni avere paura di mio figlio! Dopo le prime incertezze iniziali, una volta capito il suo «funzionamento», non ci fanno quasi più caso. Diventa persino una risorsa perché imparano cosa significa accogliere, accettare, comprendere e se lo porteranno dentro per tutta la vita. Abbiamo spiegato che quando urla è perché ha accumulato molto e la pentola si scoperchia. Se sono presente vengono a chiedermi cos’ha e cosa devono fare, gli spiego cosa sta succedendo, di lasciarlo stare finché smette e poi chiedergli se vuole giocare. Se ne vanno tranquilli, quando ha finito tornano da lui e ricominciano a giocare insieme».
Sul nostro territorio gli Enti di riferimento per ricevere supporto sono Pro Infirmis, l’Associazione Autismo Svizzera italiana e ARES (Fondazione Autismo Risorse e Sviluppo). Annualmente ricevono parecchie richieste di adesione che rischiano di venir evase in tempi lunghi per mancanza di fondi e personale. Ci sono famiglie che aspettano anni prima delle visite a domicilio del pedagogista col quale iniziare un percorso personalizzato. Anche le informazioni sono difficili da reperire: «Solo per puro caso e dopo due anni dalla diagnosi ho saputo dell’esistenza della carta di accompagnamento che permette di viaggiare sui mezzi pubblici gratuitamente in tutto il paese. Bisognerebbe accompagnare la diagnosi con tutte le informazioni necessarie, a chi rivolgersi per che cosa, a cosa si ha diritto, ecc. Ho incontrato genitori che dopo anni non sapevano di aver diritto all’invalidità, che hanno ricevuto informazioni a metà o addirittura sbagliate».
Gli aiuti finanziari non coprono tutte le spese che l’autismo genera. A causa di variegate mancanze, ci sono famiglie costrette a medicalizzare i propri figli per riuscire a tirare avanti. Attualmente a livello politico si vogliono applicare tagli al sociale e questo potrebbe peggiorare ulteriormente la situazione. Se dovesse succedere a rimetterci saranno famiglie e bambini ed è facile che più che un risparmio, otterremo un impoverimento.
Come possiamo migliorare le cose?
«Continuando a parlarne civilmente, con gentilezza e, noi che ci riusciamo, leggendoci negli occhi».
